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Dopo dieci anni di indagini e polemiche, il caso Betsolution si chiude con un verdetto che scagiona i dirigenti della società di gioco d’azzardo registrata a Malta: nessun legame con la mafia secondo il tribunale italiano.
La lunga ombra della mafia si dissolve, almeno per quanto riguarda Betsolution, società di scommesse online con sede a Malta, coinvolta nell’operazione del 2015. Il tribunale di Reggio Calabria ha assolto Domenico Lagrotteria e Alessandro Ciaffi, direttori italiani della società, dalle gravi accuse di associazione mafiosa e riciclaggio.
Il verdetto, arrivato dopo un decennio di procedimenti legali, è chiaro: nessuna influenza della criminalità organizzata è stata riscontrata nelle attività di gioco condotte da Betsolution. La sentenza fa luce su un caso che aveva gettato ombre sul mondo dell’iGaming con sede a Malta, sollevando dubbi e sospetti che oggi si rivelano infondati.
Nel 2015, Betsolution finì al centro dell’attenzione mediatica anche per via del coinvolgimento della GVM Holding Ltd, società fiduciaria maltese rappresentata da David Gonzi, figlio dell’ex primo ministro di Malta, Lawrence Gonzi. Un dettaglio che non passò inosservato e che alimentò le speculazioni, sebbene David Gonzi non sia mai stato accusato di alcun reato.
Le indagini italiane ipotizzavano una rete di riciclaggio internazionale legata alla ’ndrangheta, con società maltesi utilizzate per movimentare fondi attraverso piattaforme di gioco. Le autorità italiane, all’epoca, chiesero e ottennero l’estradizione da Malta di Lagrotteria e Ciaffi, insieme ad altri presunti affiliati..
In seguito all’indagine, la sospese le licenze operative di Betsolution4U Ltd e Uniq Group Ltd, due realtà attive nel settore sin dal 2011. Tuttavia, la recente sentenza potrebbe aprire un dibattito sul ruolo delle autorità regolatorie e sulla presunzione d’innocenza per gli operatori in attesa di giudizio.
Il messaggio che arriva ora dal tribunale calabrese è netto: la maggior parte delle accuse erano infondate, e le attività di gioco d’azzardo della società non erano strumentalizzate dalla criminalità organizzata.
A pagare il prezzo delle indagini sono solo Antonino Alvaro e Cristian Fortunato, riconosciuti colpevoli di legami mafiosi e condannati rispettivamente a dieci e sette anni di reclusione. Il tribunale ha anche disposto la confisca dei loro beni. Per tutti gli altri imputati, tra cui Vincenzo Giuliano, Mario Vardè e il fornitore di poker online Davide Taher, è arrivata l’assoluzione piena. Altre accuse minori, come irregolarità fiscali e pratiche abusive di gioco, sono risultate prescritte nel corso del procedimento.
Uno dei nomi più discussi fu quello di Mario Gennaro, descritto all’epoca come figura di spicco del clan Tegano e referente della ’ndrangheta nel settore delle scommesse. Anche lui fu estradato da Malta e, in seguito, divenne collaboratore di giustizia, offrendo elementi utili all’inchiesta, ma senza prove sufficienti a coinvolgere Betsolution.
Il caso ha avuto un forte impatto sul settore iGaming maltese, sollevando interrogativi sul ruolo delle giurisdizioni offshore e sull’efficacia dei controlli nei confronti di operatori internazionali. Tuttavia, la sentenza restituisce fiducia al mercato: non tutto ciò che passa per Malta è opaco, e i sistemi di licenza possono funzionare anche come strumenti di protezione.
Il verdetto finale sull’assoluzione di Betsolution dalle accuse di mafia non è solo la fine di un processo giudiziario durato dieci anni, ma anche una presa di posizione chiara: non tutto ciò che ruota intorno all’iGaming internazionale è terreno fertile per la criminalità organizzata.
L’espressione “Betsolution mafia assoluzione” segna oggi un precedente importante per il settore. Dopo anni di sospetti, estradizioni e misure cautelative, il tribunale di Reggio Calabria ha stabilito che le operazioni condotte dalla società di gioco con sede a Malta non avevano alcun legame con la ’ndrangheta, né rappresentavano un canale di riciclaggio illecito.
Per l’intera industria del gioco online, si tratta di un messaggio forte. Il caso dimostra quanto sia fondamentale garantire trasparenza, collaborazione tra autorità giudiziarie e regolatori, ma anche il rispetto della presunzione d’innocenza per operatori regolari.
Malta, come hub internazionale del gaming, è chiamata a rafforzare la sua reputazione, e verdetti come questo possono contribuire a distinguere gli operatori seri da eventuali abusi isolati.
In un mercato competitivo e spesso esposto a critiche, la corretta applicazione delle regole – senza facili demonizzazioni – è la chiave per tutelare l’ecosistema legale del gaming.
La vicenda Betsolution ci ricorda che, se da un lato è doveroso indagare e agire contro ogni possibile infiltrazione criminale, dall’altro è altrettanto necessario non compromettere la reputazione di aziende che operano legittimamente in un settore regolamentato.
Alla fine, la giustizia ha parlato: Betsolution non era uno strumento della mafia. E questo, nel contesto dell’operazione Gambling, è un risultato che cambia la narrativa.
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